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Value Based Healthcare (VBHC): Origine e Principi

Il valore per il paziente e la massimizzazione dello stesso in relazione al suo costo, sono gli elementi al centro del “Value Based Healthcare”, modello introdotto dagli economisti Michael Porter ed Elisabeth Olmsted Teisberg.

Secondo gli autori: “The way to transform health care is to realign competition with value for patient. Value in health care is the health outcome per dollar of cost expanded”

Definizione di Value
value based healthcare principi

Un modello che vede il passaggio da una logica basata sui volumi di attività delle prestazioni erogate ad una logica centrata sui risultati in termini di ritorno di salute dei pazienti, confrontati con i costi (diretti ed indiretti) sostenuti per ottenerli.

Tutto questo richiede il passaggio da un sistema di assistenza orientato all’offerta ad uno orientato alla domanda, ovvero alle esigenze dei pazienti. Un sistema che passa da un’organizzazione che gira intorno a ciò che fanno i medici e gli operatori sanitari, ad un’organizzazione che gira intorno al paziente ed al principio di centralità dello stesso.
Lavorare per il conseguimento del più alto valore possibile per i pazienti diventa una sfida ed un obiettivo a cui l’assistenza sanitaria deve tendere per poter garantire il miglior rapporto tra risultati di salute raggiunti ed il livello di risorse consumate durante l’intero percorso di assistenza.

Il passaggio dalla “evidence based medicine” alla “value based medicine”, oltre ad introdurre un metro di giudizio basato sulle aspettative del paziente, dilata l’orizzonte temporale di riferimento non limitandosi alla fase acuta di ogni singolo episodio clinico ma estendendosi verso uno spazio di valutazione più ampio, adeguato a misurare gli esiti nel lungo periodo.

In estrema sintesi, il monitoraggio dei risultati ottenuti nel tempo in termini di salute e dei costi sostenuti durante un intero ciclo di cura, diventano due variabili il cui rapporto definisce il livello di “value” raggiunto. Secondo tale approccio, il valore non è più legato unicamente al costo sostenuto per un singolo episodio clinico ma si presenta come un concetto più esteso che rende giustizia alla multidimensionalità della valutazione finale di un percorso di cura, al contempo clinica ed economico-finanziaria.
È evidente che le organizzazioni sanitarie, in modo più o meno sistematico conducono azioni di monitoraggio di tali variabili per finalità cliniche (outcome) e gestionali (costi). Attraverso l’approccio Value Based, esiti e costi vengono ad essere rapportati per la prima volta nella definizione di una misura sintetica e strutturata in grado di dimensionare il concetto di valore evitando l’astrattezza dello stesso.
Nel 2013 Michael E. Porter e Thomas H. Lee presentarono la Value Agenda come una agenda strategica per passare a un sistema di assistenza sanitaria di alto valore basato: “At its core is maximizing value for patients: that is, achieving the best outcomes at the lowest cost.

Si tratta di un vero e proprio percorso che si fonda su sei step da compiere per garantire efficacia all’implementazione di un modello strategico basato sul valore e sulla centralità del paziente.

Ogni step è caratterizzato da un elevato livello di interdipendenza con gli altri, pertanto i benefici apportati dal modello saranno maggiori, più rapidi e semplici da conseguire se si realizza un percorso armonico e sistematico sostenuto dalla realizzazione attiva di ciascuno dei singoli item.

Value Based Healthcare in sanità

Il concetto di valore in Sanità viene descritto da Porter quale “risultato in termini di salute per dollaro speso”. Una definizione che associa alla finalità di qualsiasi Sistema Sanitario, ossia la garanzia del diritto alla salute per tutti i cittadini, la relativa traduzione economico-finanziaria. Una visione che abbraccia, evidentemente, un approccio “patient centered” per percorsi di cura.

Guardando al rapporto tra processo e valore, possiamo definire il processo come “un insieme organizzato di attività e di decisioni, finalizzato alla creazione di un output effettivamente domandato dal cliente, e al quale questi attribuisce un valore ben definito”.

La risposta ai singoli bisogni di salute dei pazienti avviene attraverso un insieme di prestazioni la cui traduzione economica, in una logica end to end, identifica il costo complessivo del percorso.

Aldilà delle prestazioni ricevute (output), l’esito (outcome) può assumere una valutazione positiva o negativa se misurato in relazione a singoli parametri, siano essi oggettivi che soggettivi, considerati come rilevanti per il paziente.

L’obiettivo è quello di garantire il conseguimento di esiti positivi attraverso l’uso razionale delle risorse e per fare ciò è opportuno lavorare sull’organizzazione e sui processi per eliminare tutto quello che genera “disvalore”, ossia che incrementa i costi o riduce gli esiti.

Solo un’organizzazione che si muove attorno ai bisogni del paziente, svincolandosi dalla divisione per specialità e per funzione tipica delle organizzazioni sanitarie, sarà un’organizzazione in grado di generare valore. L’interesse del paziente non è, evidentemente, legato al volume di prestazioni bensì alla capacità delle stesse di essere correlate ed integrate lungo un percorso di cura che deve avere come scopo primario rispondere in modo adeguati ai bisogni e le aspettative del paziente stesso.

Pertanto, ciascuna organizzazione viene ad essere valutata non più in relazione al volume delle prestazioni ed alla redditività delle stesse, bensì alla capacità di definire percorsi di cura in grado di rispondere al meglio alle aspettative esplicite ed implicite del paziente.

L’integrazione e la trasversalità di un’organizzazione per percorsi di cura induce una rottura con la tradizionale logica organizzativa per “silos verticali” (corrispondenti alle singole funzioni/servizi/reparti/specialità), ridisegnando i percorsi attorno ad una specifica patologia/condizione/bisogno di assistenza del paziente.

Più elevato è il livello di integrazione più si sarà in grado di produrre e trasmettere valore.

La VBHC si basa su un approccio organizzativo e gestionale che prevede alcuni prerequisiti fondamentali:

  • attivazione di team multidisciplinari focalizzati sulla singola patologia ed in grado di interpretare, ottimizzare e gestire l’intero percorso di cura
  • abbattimento dei “silos” e della logica gerarchico-funzionale: sono i processi a generare valore e non le singole funzioni, l’approccio all’organizzazione deve essere per processi «end to end»
  • centralità dei bisogni del paziente ed integrazione dei setting di cura
  • continuità del ciclo di cura
  • abbattimento degli sprechi (e dei relativi costi)
  • collaborazione, comunicazione, visione trasversale, approccio multidisciplinare
  • integrazione informativa e gestione integrata del dato.

La soddisfazione del paziente, la rispondenza alle sue aspettative e la creazione di un valore finale per lo stesso è quindi una partita che si gioca lungo l’intera catena di processo e non all’interno di singole funzioni. Seguire un approccio verticale e frammentato nella gestione porta a trascurare una dimensione di valore importante. Adottare un approccio per processi significa guardare alla soddisfazione del paziente:

  • garantendo la massimizzazione del valore (il valore si genera lungo i processi)
  • definendo in modo inequivocabile ruoli e responsabilità (l’esistenza di più responsabili significa assenza di una effettiva responsabilità)
  • individuando attività inutili e favorendo l’eliminazione di attività che non generano valore ma che contrariamente lo erodono (attività che spesso si presentano proprio nei passaggi tra funzioni con rilavorazioni, controlli, errori, ecc)

 

La misurazione degli Outcome rilevanti per il paziente

L’outcome di un processo, o di una attività in genere, è il risultato che si ottiene al termine delle diverse fasi che lo compongono. Nell’attività clinica, gli interventi medici, tecnici, assistenziali, le scelte terapeutiche e tutte le attività a supporto del processo clinico-assistenziale contribuiscono nel loro insieme a produrre risultati più o meno validi in termini di salute. La valutazione dell’outcome dopo una patologia acuta o della progressione di una patologia cronica rappresenta un ambito in continua espansione e sempre più frequentemente si parla di obiettivi non solo di efficienza, ma anche di risultati misurabili in termini di mortalità, complicanze, infezioni alla dimissione dall’ospedale, ed effetti a medio-lungo termine.

La scelta di come allocare le risorse, definire i tempi, gestire i diversi passaggi dipende dagli obiettivi che ci si pone di fronte al malato prima ancora che alla malattia. Un outcome clinico può valutare qualsiasi intervento applicato al paziente in termini di risultati alla fine del processo terapeutico (ma in questo caso sarebbe più proprio parlare di “output”) o, meglio, in termini di risultati a medio o lungo termine. Quest’ultima attività, per quanto se ne parli molto, non è del tutto sviluppata nel Sistema Sanitario italiano, che predilige misurare, quando lo si fa, l’efficienza dei processi (indicatori di percorso) o di output. Ben più difficile ed impegnativo, infatti, è misurare l’effettivo risultato in termini di salute recuperata o risparmiata. Quando ciò accade, ancora una volta, il centro di queste misurazioni spesso non è il paziente, ma l’attività clinica: gli endpoint prefissati, infatti, si esprimono molto più frequentemente in termini di parametri fisiologici o risultati clinicamente misurabili, o si sviluppano in termini di politica economica e di efficienza del sistema, mentre raramente si preoccupano di coinvolgere il vissuto reale del paziente. È più facile esprimersi in termini di “quanti gradi si flette un gomito sottoposto ad intervento chirurgico” invece di “quanto potrò ancora giocare a tennis?”. Solo negli ultimi anni stanno prendendo piede sistemi di misurazione effettivamente “patient oriented” che tengono conto non solo della qualità tecnica dell’attività medico-assistenziale, ma anche dell’effettivo risultato che essa ottiene nella vita di tutti i giorni del paziente.

Il “valore” di un’attività terapeutica e/o assistenziale può dunque assumere diverse connotazioni a seconda delle aspettative, sia dei clinici, sia del paziente e dei familiari: entrambi questi modi di vedere vanno integrati in quanto il valore reale non sarà mai determinato da una singola misura matematica, quanto piuttosto da un insieme di indicatori a breve, medio e lungo termine.

Indicatori a breve termine: paziente e familiari sono certamente interessati a conoscere quali possono essere i tempi, le probabilità di successo, le complicanze dei trattamenti proposti ed i risultati attesi in termini di sopravvivenza: risultati determinati da numerosi fattori, quali le caratteristiche della patologia di partenza, l’età, le comorbilità del paziente, le caratteristiche dell’ospedale, lo skill dei professionisti, le risorse impiegate in termini di tecnologie e strutture.

Questo outcome ospedaliero è solo il primo step di un processo molto più lungo che prevede la guarigione o il contenimento della malattia e, in ogni caso, il reintegro del soggetto nella società.

Indicatori di complicanza: un aspetto estremamente importante è quello relativo alle possibili complicanze, che possono insorgere durante il ricovero, ma anche e soprattutto quelle che possono insorgere dopo una dimissione (queste ultime spesso poco considerate nei sistemi di misurazione).

Le complicanze, o la loro assenza, non sono solo una fatalità ineludibile (anche se molte non sono effettivamente prevenibili) ma spesso riflettono gli standard di cura delle Unità Operative e dell’ospedale nel suo complesso, quindi sono lo specchio della qualità e della quantità delle risorse impiegate

Indicatori a lungo termine: l’interesse principale per un paziente o per i suoi familiari rimane in ogni caso quello di conoscere la sopravvivenza e la ripresa funzionale che il suo corpo avrà una volta dimesso dall’ospedale. Anche se talvolta il concetto di “recupero adeguato” risulta difficile da definire con esattezza e spesso non vede coincidere il punto di vista clinico-assistenziale, che mira a collocare i risultati nell’ambito di valori medi, frutto delle conoscenze scientifiche e della propria esperienza, ed il punto di vista individuale, del paziente o della propria famiglia, che si confronta con un vissuto molto soggettivo e funzionale allo stato preesistente al ricovero in ospedale.

Quality of life: la qualità della vita (Health Related Quality of Life – HRQoL) è un concetto che amplia ulteriormente questa visione e prende in considerazione numerose variabili non solo fisiche, ma anche relazionali e psicologiche e si spinge ad indagare la funzionalità individuale o di alcuni distretti del proprio corpo, la soddisfazione nel riuscire a compiere atti ritenuti importanti per sé stessi, il mantenimento delle relazioni e delle abitudini. Diverse definizioni di HRQoL precedono la definizione di HRQoL proposta dall’OMS (1997); una “percezione individuale della propria posizione nella vita nel contesto della cultura e dei sistemi di valori in cui le persone vivono e in relazione ai loro obiettivi, aspettative, standard e preoccupazioni”. Ad esempio: Patrick ed Erickson lo definiscono come: “La misura in cui il valore assegnato viene modificato alla durata della vita in funzione della percezione dei limiti fisici, psicologici e sociali e della diminuzione delle opportunità dovute alla malattia , i suoi sequel, le politiche di trattamento e / o di salute ” o Schumaker e Naughton come “una percezione soggettiva, influenzata dallo stato di salute attuale, della capacità di svolgere quelle attività importanti per l’individuo”. Nonostante i diversi approcci nella definizione, è evidente che questo concetto si basa sulle percezioni che sono proprie di ogni individuo in merito al proprio benessere, la cui multidimensionalità non riguarda la malattia ma la percezione della propria condizione fisica e la visione del proprio futuro.

Questo outcome funzionale appartiene poco alla cultura del mondo sanitario e solo recentemente ha visto la diffusione di metodi utili a misurarlo. Michael Porter e Elizabeth Teisburg, nel libro “Redefining Health Care”, per primi focalizzarono l’attenzione sul valore dell’assistenza sanitaria e sulla combinazione fra risultati e costi. Oggi sono diverse le Società Scientifiche che oggi promuovono sistemi di valutazione degli outcome basati sulla valutazione del paziente. Fra queste, ICHOM-Institute for Strategy & Competitiveness fu fondata proprio da Michael Porter, Stefan Larsson e Martin Ingvar (Karolinska Institute), sviluppando la convinzione che la considerazione degli outcome visti dalla parte dei pazienti sia uno fra i principali fattori in grado di migliorare i sistemi sanitari. Nello specifico, ICHOM non ha ancora sviluppato sistemi specifici di analisi per il tumore del pancreas, ma per lo sviluppo del nostro sistema di analisi, di cui diremo oltre, ci siamo basati sui modelli provenienti da questa esperienza e su quelli di altre società che hanno lavorato in tal senso, come EORTC (European Organization for Research and Treatmnet of Cancer). Il programma EORTC-Quality of life si pone l’obiettivo di sviluppare e perfezionare questionari per valutare la qualità della vita della salute dei pazienti negli studi clinici oncologici e condurre ricerche per comprendere meglio gli effetti del cancro e il suo trattamento sulla qualità della vita, correlata alla salute di diverse popolazioni di pazienti affetti da cancro, in diverse culture. Professionisti di varie discipline, tra cui oncologi, radioterapisti, chirurghi, psichiatri, specialisti di cure palliative, psicologi, assistenti sociali e metodologi di ricerca sono coinvolti nello sviluppo di moduli di misurazione che si affiancano ad un modello base principale.

 

La misurazione dei Costi del percorso di cura

La Misurazione dei Costi è il secondo parametro necessario al dimensionamento del Valore per il modello VBHC.

Da uno studio finalizzato a comprendere come il VBHC sia utilizzato e compreso nella letteratura scientifica emerge che il value sia il concetto più citato (51,4%) seguito da quello di outcome (23,1%), ultimo quello dei costi/rimborsi con solo il 10,2% delle citazioni. È evidente come in ambito sanitario l’attenzione al concetto di value sia ancora lontana dal rapporto con il costo sostenuto per l’erogazione dello stesso.

Misurare i costi di un percorso di cura significa quantificare economicamente le risorse che sono state assorbite durante tutte le sue fasi, dalla diagnostica alle prestazioni ambulatoriali, dagli episodi di ricovero alle terapie, dalla riabilitazione ai trattamenti domiciliari. Fanno parte del percorso di cura e quindi vanno calcolate anche, laddove presenti, le attività di preabilitazione e riabilitazione post-intervento chirurgico, il supporto psicologico, la consulenza dietologica e tutte le attività che possono essere svolte al di fuori dell’ospedale che possono concorrere all’incremento degli esiti.

Essendo il percorso di cura un processo complesso, multidisciplinare e caratterizzato da diverse prestazioni ed episodi di ricovero effettuate presso varie specialità in un arco temporale in alcuni casi molto ampio, è necessario disporre di un sistema di misurazione dei costi che sia il più possibile orientato ad imputare i costi in modo puntuale a ognuna delle attività svolte.

I sistemi di contabilità analitica in sanità adottano tradizionalmente un approccio basato sulla suddivisione in centri di costo e di ricavo e sulla attribuzione dei costi indiretti semplicemente in virtù dei volumi di produzione (es. costi generali di un blocco operatorio suddivisi in base al numero degli interventi effettuati).

Assegnare ai prodotti realizzati in grandi quantità buona parte dei costi comuni porta ad una evidente distorsione quando tali costi sorgono in seguito alla presenza di produzioni complesse ma realizzate in piccole quantità. Così facendo le produzioni più semplici sovvenzionano quelle che determinano la complessità produttiva e gestionale.

Di fatto, l’approccio tradizionale non è sempre in grado di attribuire costi specifici e coerenti alla singola attività in relazione al diverso fabbisogno di risorse che ogni attività può portare con sé per sua natura/tipicità/complessità.

Per ottenere una efficace misurazione dei costi per attività è necessaria l’adozione di un sistema di contabilità analitica di tipo ABC (Activity Based Costing) in grado di superare i limiti dell’approccio tradizionale per Funzioni verticali e Centri di Costo.

L’ABC si mostra in effetti tra i più adatti a:

  • monitorare il consumo di risorse per l’ottenimento di prestazioni complesse
  • produrre un efficace flusso di informazioni utili per la gestione dei processi e per le decisioni a diversi livelli organizzativi.

L’effettiva introduzione di sistemi di contabilità analitica Activity Based Costing da parte delle  strutture sanitarie deriva dal superamento di approcci organizzativo-gestionali di natura verticale a favore dell’introduzione di orientamenti di governo e gestione di natura orizzontale, basati su una visione per processi. Tale transizione si riflette nei sistemi di contabilità analitica con il passaggio da un’allocazione per centri di costo ad una per attività. Questa evoluzione è relativamente recente e in alcuni contesti, come quello italiano, ancora in atto.

 

Caratteristiche dell’Activity Based Costing (ABC)

L’Activity-Based Costing (ABC) è un sistema di contabilità analitica sviluppato per superare i limiti dei sistemi di contabilità tradizionali rispetto ai cambiamenti nelle tecniche di gestione aziendale, nelle tecnologie di produzione, nei modelli organizzativi e nell’ambiente competitivo.

Nei contesti produttivi moderni è la ricerca della varietà (differenziazione) e della flessibilità produttiva che determinano un crescente sostenimento di costi e assorbimento di risorse.

Uno dei più rilevanti fenomeni intervenuti nell’ambito della struttura dei costi di produzione a seguito della ricerca della flessibilità, della qualità e della differenziazione consiste, infatti, nella crescita progressiva delle componenti di costo indiretto a carattere costante rispetto ai componenti di costo variabili. La differenziazione dei prodotti/servizi genera, altresì, una quantità notevole di attività non strettamente produttive, che sono fonti importanti di complessità e di costi.

Il livello di complessità del processo produttivo diventa sempre più importante per la presenza di attività legate alla predisposizione dei fattori ed al supporto alla variabilità dei processi. Di fatto, i costi indiretti non sono correlati ai volumi di produzione (output), la loro insorgenza non è connessa alla variabilità della quantità di produzione, ma al livello di complessità dei processi produttivi.

L’approccio ABC è pertanto largamente utilizzato nei sistemi di contabilità analitica di realtà industriali e imprese di servizi in cui i costi indiretti hanno un’incidenza notevole rispetto ai componenti di costo diretti legati ai materiali e in generale ai costi variabili di produzione.

Anche la il mondo della Sanità ricade in questa situazione dal momento che i costi dei materiali di consumo rappresentano sempre di più una percentuale secondaria rispetto alle attività che fanno riferimento a risorse che sono dei costi fissi in un determinato orizzonte temporale (personale, attrezzature, infrastrutture).

 

L’applicazione dell’Activity Based Costing

Il principio fondamentale che è alla base del sistema ABC rispecchia i nuovi connotati assunti dalle moderne gestioni aziendali, ove le risorse a disposizione dell’azienda vanno primariamente considerate come consumate nello svolgimento delle sue «attività»; sono pertanto queste ultime i fondamentali oggetti di costo da considerare.

A loro volta esse forniscono i servizi per la realizzazione dei prodotti e di altri output misurabili.

Porre al centro del calcolo dei costi le attività e non i prodotti costituisce pertanto uno dei tratti caratteristici del sistema.

L’adozione di una contabilità analitica di tipo ABC implica:

  • l’individuazione e il monitoraggio delle singole attività necessarie per la realizzazione di un processo produttivo. A tale fine è necessario disaggregare i processi aziendali in attività quanto più possibile elementari.
  • l’individuazione degli elementi che generano il costo di tali attività, detti driver di costo
  • la determinazione del costo di ogni attività elementare corrispondente alla somma dei costi delle risorse utilizzate per svolgerla (personale, ammortamenti, attrezzature etc).
  • il calcolo del costo unitario dei driver di costo di ogni attività risultante dalla divisione del costo dell’attività per il numero di volte in cui il driver di costo è stato attivato.
Lo schema logico dell’ Activity Based Costing

Le attività non vengono quindi più suddivise per centri di costo, bensì in gruppi omogenei in base ad altrettanto omogenei determinanti di costo. In questo modo si evitano le distorsioni tipiche dei sistemi tradizionali di contabilità analitica che tendono ad effettuare un riparto dei costi indiretti basandosi più sulle misure degli output che non sui processi dai quali quegli output sono stati generati.

Con il metodo ABC i costi indiretti vengono attribuiti direttamente alle attività che li generano facendo in modo che siano le attività che sono le effettive determinanti dell’entità di alcuni costi indiretti quelle che si fanno carico del loro costo.

Riprendendo l’esempio dei costi generali di un blocco operatorio, essi possono essere attribuiti alle attività chirurgiche in base alle ore di occupazione delle sale operatorie che rappresenta in questo caso il driver di costo.

È talmente frequente l’utilizzo del tempo come criterio di attribuzione dei costi indiretti che spesso l’approccio ABC viene chiamato direttamente Time Driven Activity Based Costing.

 

L’Activity Based Costing nella misurazione dei costi del percorso di cura in ottica VBHC

L’approccio ABC è di fondamentale importanza nell’attribuzione dei costi in ottica VBHC dal momento che permette di adottare una visione orizzontale in cui il percorso di cura viene visto attraverso una serie di attività tra loro correlate. I processi vengono ripercorsi nella propria interezza individuando in modo puntuale le attività che sono state svolte a favore del paziente lungo l’intero percorso di cura. Una volta definiti i driver di costo ovvero i fattori determinanti di costo, si riesce a passare dalla misurazione delle risorse assorbite al loro costo complessivo.

Mediante l’impiego dell’ABC è possibile focalizzare l’attenzione sull’insieme delle attività che vengono a realizzarsi lungo i processi ed evidenziare le attività “a Valore Aggiunto” e le attività “a Non Valore aggiunto” secondo i paradigmi classici della Lean Healthcare fornendo al management una mappa utile per migliorare il rapporto costo/valore dei processi.